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Cagliari, le ferite e le tracce scure su collo e gambe: “Ecco perchè Manuela Murgia è stata uccisa”

Le 10 pagine di relazione del medico legale Roberto Demontis hanno convinto il pm a riaprire il caso. Troppi i punti che non tornano con la versione del suicidio, dal “volo” di decine di metri nel canyon a dei segni, quasi inequivocabili, notati anche negli abiti della 16enne. Indagini aperte per femminicidio, i parenti: “Vogliamo, dopo trent’anni, la verità”
La Redazione

Una decina di pagine con valutazioni e annotazioni, quelle prodotte dal medico legale Roberto Demontis e fatte avere al pm Guido Pani dai legali Bachisio Mele e Giulia Lai. In quei fogli sono contenute soprattutto le ragioni che hanno portato Demontis a sostenere la tesi che Manuela Murgia sia stata investita da un’automobile e che solo dopo la morte, il 4 febbraio del 1995, sia stata portata nel canyon di Tuvixeddu. Nessun volo per decine di metri, nessun suicidio. Violenza, meglio: femminicidio, anche se quel termine all’epoca non era praticamente utilizzato. È l’assenza di fratture in determinate parti del corpo e la presenza in altre, unite a lesioni e segni scuri ad aver fatto comporre un puzzle dei fatti, al medico legale, che ha portato il pubblico ministero a riaprire il caso. Si passa da suicidio a omicidio (o femminicidio, è uguale). Si andrà quindi alla ricerca di tracce, di qualunque elemento utile per trovare chi ha ucciso una sedicenne che mai, in vita sua, era stata tra la polvere e i cespugli delle “gole” incastonate tra via Is Maglias e via Bainsizza.

“Siamo soddisfatti della decisione del pm di voler riaprire il caso”, dice la legale Giulia Lai. “Nella relazione stilata da dottor Demontis ci sono vari punti che fanno capire che la pista del suicidio non possa reggere”. Una pista che resse, in passato – correva l’anno 1997, cioè a due anni di distanza dal ritrovamento del corpo della sedicenne – comunque non totalmente. “Già all’epoca, venne chiarito che quella del suicidio era la pista prevalente, ma che non si potevano comunque escludere altre dinamiche”. E spicca un particolare, tra i tanti: più di una volta i parenti della Murgia hanno chiesto se qualcuno ricordasse di aver visto girare, dalle parti di via Barigadu (dove abitavano all’epoca) una macchina blu metallizzata. Potrebbe essere la stessa utilizzata per travolgere e uccidere la ragazzina? Dagli avvocati arriva un “no comment” che fa intuire che, in un momento simile, ogni pista potrebbe essere quella decisiva quanto, magari, un flop. E ora, per i legali (Giulia Lai e Bachisio Mele) e per Gioele, Anna ed Elisa Murgia (fratello e sorelle di Manuela) arriva il tempo dell’attesa delle nuove indagini. Bisognerà appurare se sarà accolta la richiesta di un’autopsia sui resti della sedicenne o se sarà necessario un incidente probatorio. Ciò che è certo è che, da ieri, una famiglia che grida da sempre a una “clamorosa ingiustizia” si sente meno sola nella sua battaglia verso “la verità”.

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