Nicola Grauso è morto. Ha lottato contro un tumore ed era diventato testimone del diritto alle cure in Sardegna.
E’ morto a 76 anni Nicola Grauso. L’uomo che aveva fatto dell’intraprendenza una regola di vita, si è spento dopo aver affrontato con lucidità estrema una delle battaglie più dure: quella contro un carcinoma a piccole cellule, tra i tumori più aggressivi e resistenti. La diagnosi, arrivata lo scorso febbraio, era senza appello: inoperabile.
Grauso era un imprenditore, un ex editore, un provocatore instancabile. Recentemente condannato a cinque anni per il crac della catena editoriale Epolis, aveva imparato a rimettere in ordine le priorità. Davanti alla malattia, ha messo in secondo piano la giustizia terrena.
L’uomo dietro la sigaretta
Chi lo ha conosciuto lo ricorda con una sigaretta tra le dita ingiallite, spesso maltrattata, come fosse una parte inseparabile del suo pensiero. «Quante al giorno? Sessanta, ottanta. Non le ho mai contate», aveva dichiarato in un’intervista rilasciata al quotidiano L’Unione Sarda. Ma anche quella, alla fine, era stata lasciata alle spalle: «Qualcosa la devi dare anche tu, ti devi impegnare. Io ci ho messo l’abbandono delle sigarette».
Dopo cicli di chemioterapia e immunoterapia, aveva deciso di andare oltre. Da solo, aveva contattato centri d’eccellenza come lo IEO, l’Humanitas, il San Raffaele. Poi l’approdo all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, a Verona. Un luogo che aveva definito «perfetto».
Una sanità che funziona altrove
Con una sincerità disarmante, Grauso aveva raccontato come si fosse sentito, per la prima volta, solo un paziente: l’elogio di un sistema che funziona, che accoglie, che cura. Che guarda negli occhi.
«In Sardegna sarebbe impossibile», osservava con amarezza. E non era una semplice critica, ma una denuncia. La sua guarigione parziale – «metastasi cerebrali azzerate, tumore polmonare ridotto» – era diventata un simbolo di ciò che è possibile fare. Non un miracolo, ma il frutto di competenza, organizzazione, umanità. «Perché io sì e altri no? Perché sono più bravo col computer? Perché ho qualche soldo in più? È inaccettabile», diceva.
L’ultima battaglia
Fino all’ultimo, Grauso non ha smesso di fare domande: «Cosa impedisce che in Sardegna nascano centri d’eccellenza? Cosa aspettano i politici a cambiare le modalità di rimborso per chi si cura fuori dall’isola?». Per lui, la lotta per il diritto alla cura era diventata più importante di qualsiasi altra.
Nicola Grauso se n’è andato con la stessa forza con cui aveva sempre vissuto. Lascia dietro di sé una testimonianza rara: quella di un uomo che ha guardato la malattia negli occhi e ha trasformato la propria esperienza in un atto politico, umano, necessario.