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Giù nell’abisso, il corallo della libertà

Domattina alle 10.30, presso la sala 700 della Biblioteca Universitaria, nuovo appuntamento con il Festival Letterario Anderas 2024. Introdotto da Laura Medda, Alessandro Serra presenterà il suo romanzo d’esordio “Vita di Arturo Amavìs” edito da Il Maestrale. L’Evento è tradotto in lingua Lis
La Redazione

Vita di Arturo Amavìs è il romanzo di esordio di Alessandro Serra, italianista che si è a lungo occupato di Gesualdo  Bufalino. Eppure, questi due fattori un poco insidiosi – l’opera prima di un professore e la familiarità con il barocco – si combinano in una composizione narrativa  sobria, equilibratissima, che associa il linguaggio ben  tornito alla profondità.

L’impianto è classico, con ricorso sistematico, nei capitoli  d’apertura, a introduzioni o preamboli storico-geografici.

Giacché la vicenda è ambientata ad Alghero, si esplora il  territorio circostante e la psicologia indigena; e poiché si  tratterà di corallari e di un maestro del rubrum , bisogna anzitutto comprendere il mare, la mitologia dei pescatori e il valore di scambio dell’oro rosso.

 Alessandro Serra sembra voler offrire al lettore una mappa dettagliata e il più assortito equipaggiamento di codici per affrontare questo viaggio letterario.

Tutta la cornice ospita e nutre la leggenda di Carlo Maria D’Arriguez. Questi, bambino, figlio di perseguitati politici nella Catalogna d’Alghero, trova rifugio nel convento di ​San Francesco, sotto la protezione e i libri d’arte di don Miguel Cherez. E i frati artigiani, scultori di legni e pietra arenaria, pittori, fabbricanti di crocifissi, gli trasmettono i rudimenti dell’incisione a bulino.  

L’incontro nel 1938 con Pedro Amavìs, disertore di Sagunto e corallaro (nonché futuro nonno di Arturo, l’io narrante) diventa la storia di un’amicizia e di un’economia rivierasca. Entrambi «nemici del Regime», sono sfuggiti agli emissari del Caudillo. Il libro stesso è dedicato «a quelli che stanno ancora scappando». Ogni sottotrama, infatti, si risolve in strappi e sofferti allontanamenti; ognuno dei contesti descritti risulta essere un drammatico approdo (talvolta di fortuna), compreso il villaggio di Fertilia con gli esuli giuliani.

Ma  Vita di Arturo Amavìs rappresenta anche una metafora sulla diversità. Quella di Arturo anzitutto: spolmonato,  respinto dagli abissi marini, estromesso da una tradizione famigliare di immersioni. Un’anima bella in un cortocircuito di orgogli e ruvidità di pescatori. Al di fuori di questa identità di gruppo, ai margini della epopea corallara, Arturo vive in continuo rapporto con la morte.

Proprio quest’ombra – che è interiore, di sguardo, di prospettiva – lo consegna al cinico Igor D’Arriguez, pittore e “cantore” di una condizione umana promessa al maleficio, al guasto organico e al Nulla.

Un’amicizia che pare continuare (e stravolgere) quella dei loro nonni, e che vagheggia la fuga non più come ricerca di libertà o asilo politico, ma come piena autorealizzazione nella disobbedienza, nella ribellione alla famiglia.

Tuttavia, la Storia – il suo eterno ritorno, più o meno simbolico, di spettri totalitari e tiranni – si ripresenterà ben presto. E la fuga non sarà più così introspettiva. Resta, ​certo, il tema della crescita, della maturità. Valent o covard, Arturo?  La domanda che gli rivolgeva il nonno era già, per il protagonista, una chiara, luminosa rotta verso l’età della ragione.

Giulio Neri

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