Hanno iniziato la loro battaglia senza squilli di tromba o grossi proclami: quattro striscioni appesi sul cancello e nella recinzione che delimita quel canyon di Tuvixeddu diventato per loro “maledetto” dal 4 febbraio 1995. “Manuela è stata uccisa”, “verità per Manuela”. Parole scritte su teli bianchi a caratteri cubitali che, pian piano, sempre più cagliaritani hanno notato. La fiaccolata silenziosa ad aprile, poi la doccia fredda qualche mese dopo del “no” alla riapertura delle indagini, la volontà di andare comunque avanti grazie al supporto degli avvocati Bachisio Mele e Giulia Lai, più altri esperti e criminologi. E la relazione del dottor Roberto Demontis, fondamentale per la riapertura delle indagini: “Tracce di violenza sessuale sul corpicino della sedicenne e le tracce di pneumatici, chiaro segno di un femminicidio. Caso riaperto, “Manuela Murgia potrebbe essere stata uccisa, si indaga per omicidio”. Possibile grazie alla caparbietà di due legali, del fratello e della sorella. Che, ancora di più oggi, dicono chiaramente: “Siamo fiduciosi delle indagini che verranno svolte”.
Si riaccende totalmente, così, un “cold case” lungo trent’anni, che di seguito riassumiamo. l 5 febbraio del 1995, dopo una telefonata anonima alla polizia, un corpo senza vita viene ritrovato all’interno del canyon artificiale di Tuvixeddu a Cagliari, la più grande necropoli punica del Mediterraneo. E’ quello di Manuela Murgia, 16 anni, scomparsa il giorno prima, quando era uscita di casa per incontrare qualcuno. Indossava sotto i jeans i pantaloni del pigiama e sul tavolo della cucina aveva lasciato un rossetto e un profumo. Un testimone la vede salire su un’auto e allontanarsi da casa. E’ l’ultima volta che Manuela sarà vista viva.
A distanza di 30 anni quella morte è ancora avvolta nel mistero. Allora il decesso era stato archiviato come suicidio ma i familiari non hanno mai creduto a quella tesi e si sono sempre battuti per ulteriori indagini. Nel 2024 la famiglia aveva presentato un’istanza per la riapertura del caso ma la Procura di Cagliari aveva respinto la richiesta. Ora gli avvocati Giulia Lai e Bachisio Mele hanno presentato una nuova istanza allegando la consulenza del medico legale Roberto Demontis. E proprio in queste pagine viene ipotizzato che non si tratterebbe di suicidio o di una caduta “ma che le lesioni sarebbero compatibili con un incidente stradale e che, probabilmente, prima dell’incidente ci sarebbe stata una violenza sessuale e poi un occultamento di cadavere”, spiega l’avvocata Lai.
Si suppone, quindi, che il corpo sia stato trascinato nel canyon dove venne ritrovato. “Ufficialmente non ci è arrivata nessuna comunicazione da parte della Procura, ma anche durante la trasmissione Detectives di Rai2 l’ex capo della Mobile di Cagliari Emanuele Fattori ha confermato la riapertura del caso”, aggiunge la legale.
Sempre durante la trasmissione è stato ricordato che nei giorni precedenti la morte della ragazza, i familiari avevano scoperto che Manuela nascondeva dei soldi e che riceveva strane telefonate che gettavano la ragazzina in una situazione di sconforto, con pianti ininterrotti. Un ricordo riemerso già nel 2012 quando la sorella Elisabetta si recò in Procura per raccontare l’episodio. Le somme di denaro, in una quantità non normale per Manuela e per la sua famiglia, erano state trovate nascoste nella plafoniera del bagno. Era stato proprio quel particolare a far riaprire il caso allora, ma poi non vennero trovati ulteriori riscontri sulle incongruenze segnalate dalla famiglia. Adesso si spera in una svolta: “Siamo assolutamente fiduciosi sulla riapertura del caso di Manuela e, in qualità di legali della famiglia, crediamo fortemente nella Procura e nell’impegno che sta mettendo nelle indagini”, conclude l’avvocata Lai. Insieme a lei e al collega Bachisio Mele, c’è anche una famiglia che, al “mai” di una probabile ingiustizia ha preferito da sempre il “meglio tardi” per ottenere proprio giustizia.