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Clochard per esperimento: “A Cagliari diffidenza e paura”

Claudia Murru, direttrice sanitaria, ha deciso di assumere le sembianze di una sbandata, girovagando per le vie dello shopping: “In città troppo distacco”
La Redazione

Un esperimento sociale, ispirato alla “Signora dei piccioni” del film “Mamma ho perso l’aereo-Mi sono smarrito a New York, quello condotto a Cagliari dalla direttrice sanitaria Claudia Murru. Un costume da clochard e piccioni attorno, poi un giro tra le strade affollate del weekend pre-natalizio.

“La mia esperienza ha rivelato un quadro preoccupante della società odierna – spiega la Murru, in un post sui social – caratterizzata da distacco, giudizio e paura, con rare eccezioni”.

Diverse le reazioni fra i tanti che hanno affollato il centro in questi ultimi giorni prima di Natale. “La più comune è stata l’indifferenza e la mancanza di ilarità”. Ma non solo. “Sguardi disapprovanti, non riuscivano ad ammorbidirsi nemmeno se sollecitati da un mio sorriso o da un gesto di saluto. Questo suggerisce una difficoltà generalizzata nel lasciarsi andare alla leggerezza e all’umorismo estemporaneo, come se ci fosse una sorta di barriera emotiva che impedisce la connessione con gli altri, attraverso anche una semplice risata”.

“Molte persone hanno reagito con pregiudizio, denunciando la tendenza, assai diffusa, a classificare gli altri in base all’apparenza e a giudicare negativamente i comportamenti non convenzionali, seppur innocui. La reazione di paura è quella che mi ha colpita in modo significativo. Alcuni avevano paura dei piccioni, che evidentemente erano finti, ma sulle altrui fobie, non è corretto esprimere giudizi”.

“In modo più generale, però è emerso che molti erano atterriti e diffidenti verso ciò che è percepito come “diverso” o “strano”, per deformazione professionale, non ho potuto sorvolare sull’analogia con lo stigma e l’emarginazione che vivono le persone con demenza”.

Come descritto dalla Murru, non sono mancate però reazioni positive a questo esperimento, soprattutto da parte di anziani e persone senza tetto. “Sono stati gli unici ad avvicinarsi incuriositi, a scambiare una parola simpatica, mostrando apertura, qualche risata e manifesto desiderio di socializzare”. E aggiunge: “Fa riflettere che proprio queste categorie sociali, spesso marginalizzate, siano state paradossalmente più capaci di connessione umana autentica. Gli anziani, che forse conservano il dono dello stupore, hanno memoria di interazioni sociali più dirette e meno mediate dalla tecnologia. I senzatetto, che vivono ai margini della società, potrebbero aver sviluppato una maggiore empatia e una necessità di contatto umano?”

Reazioni anche da parte dei più piccoli. “Ho incontrato tanti bimbi, solo uno si è avvicinato incuriosito dai piccioni”.
“Ho toccato con mano l’incapacità di gestire le dinamiche relazionali dirette, il paradosso tra la connessione apparente ed effimera offerta dai social network e la reale difficoltà di relazionarsi di persona. I social media possono creare un’illusione di vicinanza, ma mancano della profondità e dell’autenticità delle interazioni faccia a faccia”.

La dottoressa Murru, che da tempo porta avanti una campagna di sensibilizzazione per il recupero del senso di comunità a favore delle persone anziane, fa un bilancio di questa esperienza. “Il mio esperimento sociale ha evidenziato una preoccupante perdita del senso di comunità e di condivisione. In un contesto urbano sempre più individualista e frenetico, le persone sembravano anestetizzate e incapaci di interagire con gli altri, anche in situazioni leggere e divertenti”.

“Questo piccolo esperimento mostra che abbiamo disimparato a sorridere a chi ci sorride; sottolinea quanto sia necessario lavorare per stimolare il bisogno del contatto umano autentico, della risata, dello scambio di battute, dell’autentica interazione con un estraneo”.

“La mancanza di queste interazioni portare solitudine, isolamento e alienazione. È un’emergenza sociale che riguarda tutti noi, e la nostra salute e il nostro benessere”.

“Come professionista della salute, ritengo necessario e urgente promuovere iniziative che favoriscano la socializzazione e il recupero del contatto umano.
Attività di gruppo, eventi di comunità, spazi di aggregazione che contribuiscano a ricostruire il tessuto sociale e riportare la luce negli sguardi spenti che ho incontrato tra le colorate vie cittadine”.

E in conclusione, “Tornando a casa, sotto una doccia bollente mi sono lavata via il trucco, il parrucco e il pregiudizio, ma mi è rimasto il desiderio di contagiare sorrisi agli sconosciuti”.

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