I ladri non risparmiano, a Cagliari, nemmeno i malati di cancro
Cagliari, ladri senza dignità non risparmiano i malati di cancro. È difficile trovare parole diverse, meno dure, per raccontare quanto accaduto nei giorni scorsi all’interno di strutture sanitarie frequentate quotidianamente da persone fragili, malati oncologici impegnati nella loro battaglia più importante: quella per la vita.
A essere rubati non sono stati oggetti di valore, gioielli o denaro contante, ma semplici cavetti per la ricarica dei telefoni cellulari. Quei fili apparentemente insignificanti che, per chi trascorre ore e ore in corsia o in sala d’attesa, rappresentano un legame con il mondo esterno, con i familiari, con una parola di conforto.
I cavetti sono stati staccati uno dopo l’altro, con metodo e ostinazione, nell’indifferenza generale. Prese di mira le prese elettriche comuni, quelle messe a disposizione dei pazienti e dei loro accompagnatori. Nessun segno di effrazione, nessun allarme: solo la constatazione, amara, che qualcuno ha scelto di rubare proprio lì, proprio a chi già sta pagando un prezzo altissimo.
Un gesto che va oltre il furto e diventa schiaffo morale, ferita simbolica inferta a chi vive una condizione di estrema vulnerabilità.
A notare per primi quanto stava accadendo sono stati alcuni pazienti, costretti a spostarsi da una stanza all’altra alla ricerca di una presa funzionante. Poi la segnalazione è arrivata anche da chi fa parte delle associazioni che operano quotidianamente accanto ai malati di cancro.
Volontari abituati a sostenere, ascoltare, aiutare, ma che questa volta si sono trovati a denunciare un atto di inciviltà difficile persino da spiegare.
"Non è il valore economico – spiegano – ma ciò che questo gesto rappresenta. Rubare a chi sta lottando per sopravvivere è qualcosa che lascia senza parole" Il telefono cellulare, per molti pazienti oncologici, non è un semplice strumento tecnologico.
È una finestra aperta sull’esterno durante le lunghe terapie, un mezzo per rassicurare i figli, i genitori, i partner. È compagnia nelle attese infinite, distrazione dal dolore, sostegno psicologico.
Privare una persona di questo strumento, anche solo temporaneamente, significa aggiungere disagio al disagio, solitudine alla paura. Il furto dei cavetti diventa così il simbolo di una società che, in alcuni suoi angoli più bui, sembra aver smarrito il senso del limite e della pietà. Un gesto piccolo, forse, ma carico di un peso enorme. Perché racconta di un degrado che non è solo materiale, ma soprattutto morale. E perché avviene in un luogo che dovrebbe essere protetto, rispettato, sacro nel suo significato più profondo. Le associazioni dei pazienti chiedono ora maggiore attenzione, controlli più efficaci, ma soprattutto un sussulto di coscienza collettiva. La speranza è che questa denuncia pubblica serva almeno a scuotere le coscienze, a ricordare che esistono confini che non dovrebbero mai essere superati.