Quattro foto, al di là di quella che può (o potrà essere) una verità della giustizia, che colpiscono, e non poco. Parti del corpo di una 16enne morta da pochi giorni, le immagini di Manuela Murgia le ha pubblicate la sua famiglia sui social. Chiunque può vederle, fermarsi un attimo, tirare su un grosso respiro e, poi, leggere le motivazioni che hanno portato le due sorelle e il fratello della ragazzina trovata morta in fondo a un canyon di Tuvixeddu il 4 febbraio 1995, a renderle pubbliche. Mentre cresce l’attesa sull’esito dei campioni di Dna prelevati dal corpo e dai vestiti di Manuela Murgia, i parenti rendono pubbliche immagini tanto crude quanto, a detta loro, portatrici di verità incrollabili e, sino a oggi, “inconfessabili”. Ecco il loro messaggio.
In un caso di omicidio con violenza sessuale, non esiste la possibilità di ascoltare la testimonianza diretta della vittima. 𝘾𝙞𝙤̀ 𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙚𝙨𝙩𝙖 𝙨𝙤𝙣𝙤 𝙞 𝙨𝙚𝙜𝙣𝙞 𝙞𝙣𝙘𝙞𝙨𝙞 𝙨𝙪𝙡 𝙘𝙤𝙧𝙥𝙤, 𝙘𝙝𝙚 𝙙𝙞𝙫𝙚𝙣𝙩𝙖𝙣𝙤 𝙫𝙤𝙘𝙚 𝙚 𝙥𝙧𝙤𝙫𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙫𝙞𝙤𝙡𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙨𝙪𝙗𝙞𝙩𝙖.
I medici legali, attraverso l’autopsia, analizzano attentamente ogni traccia:
• 𝙇𝙚𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙜𝙚𝙣𝙞𝙩𝙖𝙡𝙞: ecchimosi, lacerazioni e abrasioni delle mucose, gonfiore e piccole emorragie puntiformi, segni tipici di una penetrazione forzata o di un contatto violento.
•𝙇𝙚𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙚𝙭𝙩𝙧𝙖𝙜𝙚𝙣𝙞𝙩𝙖𝙡𝙞: lividi e abrasioni su cosce, polsi, braccia o collo, segni di immobilizzazione e resistenza; escoriazioni da trascinamento o caduta; graffi, morsi o labbra tumefatte sul volto.
• 𝙎𝙚𝙜𝙣𝙞 𝙗𝙞𝙤𝙡𝙤𝙜𝙞𝙘𝙞: tracce di sperma o saliva, capelli o peli, DNA sotto le unghie della vittima, a testimoniare la colluttazione e il tentativo di difesa.
• 𝙇𝙚𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙙𝙖 𝙙𝙞𝙛𝙚𝙨𝙖: mani e avambracci con graffi, unghie spezzate, tipici di chi ha cercato di opporsi fino all’ultimo.
𝙏𝙖𝙡𝙫𝙤𝙡𝙩𝙖 𝙡𝙖 𝙥𝙚𝙣𝙚𝙩𝙧𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙛𝙤𝙧𝙯𝙖𝙩𝙖 𝙣𝙤𝙣 𝙡𝙖𝙨𝙘𝙞𝙖 𝙨𝙚𝙜𝙣𝙞 𝙚𝙫𝙞𝙙𝙚𝙣𝙩𝙞, 𝙢𝙖 𝙘𝙞𝙤̀ 𝙣𝙤𝙣 𝙚𝙨𝙘𝙡𝙪𝙙𝙚 𝙡𝙖 𝙫𝙞𝙤𝙡𝙚𝙣𝙯𝙖. 𝙇’𝙖𝙨𝙨𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙞 𝙡𝙚𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙣𝙤𝙣 𝙚𝙨𝙘𝙡𝙪𝙙𝙚 𝙡𝙖 𝙫𝙞𝙤𝙡𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙨𝙚𝙨𝙨𝙪𝙖𝙡𝙚 (𝙖𝙙 𝙚𝙨𝙚𝙢𝙥𝙞𝙤 𝙨𝙚 𝙡𝙖 𝙫𝙞𝙩𝙩𝙞𝙢𝙖 𝙚𝙧𝙖 𝙨𝙤𝙩𝙩𝙤 𝙢𝙞𝙣𝙖𝙘𝙘𝙞𝙖, 𝙨𝙚𝙙𝙖𝙩𝙖 𝙤 𝙞𝙣𝙘𝙖𝙥𝙖𝙘𝙚 𝙙𝙞 𝙧𝙚𝙖𝙜𝙞𝙧𝙚).
Non tutte queste tracce sono sempre presenti, ma quando ci sono, parlano con la forza della scienza e non lasciano spazio a interpretazioni arbitrarie.
𝙇𝙖 𝙫𝙞𝙩𝙩𝙞𝙢𝙖 𝙣𝙤𝙣 𝙥𝙪𝙤̀ 𝙙𝙞𝙛𝙚𝙣𝙙𝙚𝙧𝙨𝙞 né da chi le ha tolto la vita, né da una certa cattiva informazione mediatica, spesso alimentata da interessi personali o da versioni distorte della realtà.
𝙀𝙙 𝙚̀ 𝙥𝙧𝙤𝙥𝙧𝙞𝙤 𝙦𝙪𝙞 𝙘𝙝𝙚 𝙣𝙖𝙨𝙘𝙚 𝙞𝙡 𝙣𝙤𝙨𝙩𝙧𝙤 𝙙𝙤𝙫𝙚𝙧𝙚:
mettere in piazza la verità, accompagnandola dai fatti, dalle prove e dalla scienza.
𝙋𝙚𝙧𝙘𝙝𝙚́ 𝙡𝙖 𝙫𝙚𝙧𝙞𝙩𝙖̀ 𝙣𝙤𝙣 𝙝𝙖 𝙥𝙖𝙪𝙧𝙖 𝙙𝙞 𝙚𝙢𝙚𝙧𝙜𝙚𝙧𝙚, 𝙚 𝙡𝙖 𝙜𝙞𝙪𝙨𝙩𝙞𝙯𝙞𝙖 𝙣𝙤𝙣 𝙥𝙪𝙤̀ 𝙚𝙨𝙨𝙚𝙧𝙚 𝙥𝙞𝙚𝙜𝙖𝙩𝙖 𝙙𝙖 𝙘𝙝𝙞 𝙫𝙪𝙤𝙡𝙚 𝙢𝙖𝙣𝙞𝙥𝙤𝙡𝙖𝙧𝙡𝙖. 𝙉𝙤𝙞 𝙨𝙞𝙖𝙢𝙤 𝙦𝙪𝙞 𝙥𝙚𝙧 𝙧𝙞𝙘𝙤𝙧𝙙𝙖𝙧𝙚 𝙘𝙝𝙚, 𝙖𝙣𝙘𝙝𝙚 𝙦𝙪𝙖𝙣𝙙𝙤 𝙡𝙖 𝙫𝙤𝙘𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙫𝙞𝙩𝙩𝙞𝙢𝙖 𝙚̀ 𝙨𝙩𝙖𝙩𝙖 𝙨𝙥𝙚𝙣𝙩𝙖, 𝙞𝙡 𝙨𝙪𝙤 𝙘𝙤𝙧𝙥𝙤 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙞𝙣𝙪𝙖 𝙖 𝙥𝙖𝙧𝙡𝙖𝙧𝙚.
“𝐍𝐨𝐧𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐢𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨,𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐜𝐜𝐢𝐚 𝐞 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐭𝐭𝐚𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐭𝐚𝐬𝐬𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐯𝐞𝐥𝐚𝐧𝐨 𝐥𝐚 𝐝𝐢𝐧𝐚𝐦𝐢𝐜𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐞,𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐢 𝐝𝐞𝐩𝐢𝐬𝐭𝐚𝐠𝐠𝐢 𝐞 𝐥𝐞 𝐨𝐦𝐢𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧i”𝐏𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨𝐫 𝐂𝐫𝐢𝐬𝐭𝐨𝐟𝐨𝐫𝐨 𝐂𝐚𝐭𝐭𝐚𝐧𝐞𝐨( 𝐌𝐞𝐝𝐢𝐜𝐨 𝐥𝐞𝐠𝐚𝐥𝐞)".