Allarmi continui dietro le sbarre del carcere di Uta, tra disperazione e lacrime tanti i malati psichici
Non arrivano buone notizie, tutt’altro, dal carcere di Uta. Storie di disperazione, quelle raccolte dalla garante dei detenuti Irene Testa, ormai il principale “anello di congiunzione” tra il mondo di “dentro” e quello di “fuori”. C’ĆØ sofferenza, tanta, dietro le sbarre del principale penitenziario sardo. Gli agenti, che lamentano carenze di organico un giorno sƬ e l’altro pure, fanno quello che possono. Non sono però dottori e, per i casi più critici, l’intervento-supporto della sanitĆ diventa indispensabile.
Irene Testa, nel rispetto della privacy dei singoli, rende pubbliche alcune storie decisamente al limite: “Una madre disperata ĆØ costretta a vivere il dramma del figlio internato. Lo ha denunciato lei stessa, mossa dalla necessitĆ di garantirgli percorsi terapeutici”, spiega la Testa. “L’ennesima figura materna costretta a questa scelta dolorosa. Non si tratta di un delinquente, ma di un malato. Lui la chiama piangendo ogni giorno minacciando il suicidio”.
āPoi c’ĆØ “D., in piena fase delirante. Ć convinto di essere stato vittima di un ologramma che lo ha riprogrammato. Nonostante ciò, accetta la terapia: si convince, si fa accompagnare in infermeria e riceve l’iniezione. Dopo, mi abbraccia”. Sprazzi di normalitĆ e affetto in un luogo “grigio”. Ancora: “C’ĆØ l’attesa di A., il cui padre sta morendo e che attende con ansia il permesso per poterlo salutare un’ultima volta. Sono riuscita a ottenere un incontro tra loro prima che sia troppo tardi”.