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La sorella e la cugina di Martina Lattuca: “Vogliamo la verità, potrebbe essere ancora viva a Cagliari”

Due parenti della 49enne sparita a Calamosca da 3 settimane rompono il silenzio: “Solo ipotesi e versioni comode, il tempo per trovarla è adesso”
Paolo Rapeanu

Le voci della famiglia di Martina Lattuca: “Vogliamo la verità. Potrebbe essere ancora viva a Cagliari”

La sorella di Martina Lattuca, Sara, con la cugina, Alessandra Murgia, rompono il silenzio dopo tre settimane di disperazione e interrogativi.

La 49enne è scomparsa a Calamosca lo scorso 18 novembre senza lasciare tracce e le due donne chiedono con forza di non chiudere il caso dentro ipotesi “comode” o ricostruzioni affrettate. Vogliono la verità. E la vogliono adesso.

La famiglia descrive giorni sospesi, svuotati di senso, mentre l’assenza di Martina si allunga come una ferita aperta. Ricorda la dedizione dei soccorritori, il lavoro intenso di Vigili del fuoco, Soccorso Alpino, Guardia Costiera, Guardia di Finanza e carabinieri.

Ringrazia chi ha percorso metro per metro la Sella del Diavolo e il mare sottostante con elicotteri, droni, sonar e unità cinofile. Ma nessuno ha individuato la donna.

Dopo poche ore di ricerca continua, però, attorno al caso è calato un silenzio pesante. E nel vuoto — denunciano le due parenti — hanno iniziato a circolare ricostruzioni che non coincidono con ciò che la famiglia conosce di Martina.

In una lunga e accorata lettera, la cugina e la sorella si scagliano contro una narrazione che presenta molte incongruenze: “Ci è stato raccontato che abbia imboccato il sentiero della Sella del Diavolo, quando la telecamera che l’ha ripresa per l’ultima volta non inquadra quel punto. Ci è stato detto che abbia preso una decisione da depressa cronica, quando non lo era… Ci è stato chiesto di credere che Martina… timida, prudente, poco incline ai rischi… abbia deciso di percorrere un tratto che gli stessi uomini del Soccorso Alpino definiscono difficile perfino per loro… Ci è stato chiesto di credere che abbia aperto l’ombrello per non bagnarsi prima di compiere un gesto estremo…”.

La lettera elenca dubbi su ogni tassello della versione più diffusa: le scarpe ritrovate quasi intatte, lo zainetto emerso senza danni, il cellulare che aggancia un ripetitore distante sette chilometri, l’assenza di qualunque segnalazione visiva lungo il tragitto.

E soprattutto la presunta scelta di una madre che amava profondamente il proprio figlio. “Ecco, no. Noi diciamo no.” scrive la cugina, sostenuta dalla sorella di Martina. La famiglia rifiuta l’idea che una donna riservata e attenta a non creare problemi abbia scelto una fine tanto rumorosa e inspiegabile.

Rivendica il diritto a un’indagine completa, basata su fatti e non su scorciatoie narrative. Le due parenti si rivolgono direttamente a chi si trovava a Calamosca la mattina della scomparsa: chiedono di contattare le forze dell’ordine e riferire qualsiasi dettaglio, anche il più piccolo.

Invitano i media a rompere il silenzio, le istituzioni a cercare ogni indizio non ancora esplorato. “Il tempo per trovare Martina è adesso. Forse Martina potrebbe ancora essere viva. Ma non sulla cima della Sella del Diavolo.” è l’appello finale.

La famiglia non arretra: vuole la verità. E chiede alla città di non rassegnarsi all’idea che qualcuno possa scomparire nel cuore di Cagliari senza un perché.



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