L’arrivo di 92 mafiosi nel carcere di Uta fa imbufalire, oltre che preoccupare, anche gli agenti di polizia Penitenziaria. Che, attraverso i loro rappresentanti del Sappe, fanno sentire la loro voce: “L’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario italiano, noto anche come carcere duro, è un regime detentivo speciale che prevede restrizioni più severe rispetto al normale trattamento carcerario. Si applica principalmente ai detenuti appartenenti ad associazioni criminali di stampo mafioso, terroristico o eversivo, con l’obiettivo di impedire loro di mantenere contatti con l’organizzazione di appartenenza dall’interno del carcere”, spiega Luca Fais, segretario per la Sardegna del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria.
Mafiosi a Uta? “No, grazie”
“Ma a Uta i dati e le testimonianze raccolte evidenziano un quadro complessivo di grave inadeguatezza strutturale e organizzativa che, allo stato, non consente di garantire condizioni di sicurezza e operatività compatibili con le esigenze derivanti dalla custodia di oggetti altamente pericolosi”, prosegue il sindcalista.
E le perplessità che solleva il Sappe riguardano aspetti strutturali e delle risorse umane. Fais evidenzia che nel carcere di Uta vi è il “malfunzionamento di numerosi cancelli interni, con conseguente possibilità per i detenuti di muoversi liberamente tra le sezioni, in aperta violazione dei criteri minimi di sicurezza; ancora, è da rimarcare l’insufficiente capacità ricettiva della caserma, che non consente l’accoglienza del personale del Gruppo Operativo Mobile, a cui è riservata la competenza sulla gestione di questa tipologia di detenuti, e l’assenza presso l’ospedale cittadino di un repartino riservato ai detenuti, con il rischio concreto di dover piantonare soggetti sottoposti a regime differenziato in locati condivisi con pazienti comuni, compromettendo tanto la sicurezza quanto la dignità della degenza, anche alla luce della media costante dei 5/6 piantonamenti in atto”.
Per quanto concerne la situazione del personale, Fais evidenzia “una dotazione organica della Polizia Penitenziaria quantitativamente insufficiente e strutturalmente inadeguata, con carichi di lavoro e turnazioni estenuanti che già oggi raggiungo turni di 10/12 ore ; un allarmante aumento delle assenze per motivi di salute, segno evidente del disagio psicofisico che affligge il personale”.
Anche Donato Capece, segretario generale del Sappe, condivide le perplessità e le preoccupazioni della segreteria sindacale della Sardegna ed ha tempestivamente scritto una lettera ai vertici del dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria, rammentando anche “quanto occorso in occasione di un recente incendio doloso a Uta, che ha reso manifesto il completo disallineamento del carcere rispetto ai più basilari standard di sicurezza, per assenza di dispositivi di protezione individuale e di dotazioni antincendio. Sul punto, desta particolare preoccupazione la notizia – se confermata – dell’esistenza di una disposizione interna che demanderebbe ad una ditta esterna la gestione operativa degli incendi”.
Per queste ragioni, conclude Capece, il Sappe, “pur nella consapevolezza dell’autonomia organizzativa dell’amministrazione e del disegno complessivo di “geografia penitenziaria”, chiede formalmente di posticipare l’apertura della sezione 41-bis nel carcere di Uta a Cagliari soltanto previo completamento di tutte le opere, le dotazioni e le misure necessarie a garantire condizioni di esercizio conformi ai principi costituzionali di sicurezza, dignità e tutela della salute dei lavoratori e dei detenuti”.