È un Beniamino Zuncheddu a tutto campo, tra il passato segnato inesorabilmente da 33 anni trascorsi in carcere da innocente, presente fatto di una serenità pian piano sempre più ampia e futuro tutto da progettare e vivere. L’ex pastore di Burcei finito in cella a ventisei anni perché accusato di triplice omicidio, ha parlato in un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera.
In carcere gli è venuta la piorrea, oggi gli è rimasto solo un dente ma, finalmente, può curarsi. Racconta di non avere avuto nessun contatto con chi l’ha ingiustamente accusato e confida: “Sono arrivato alla conclusione che ero il più fragile, uno che non si sarebbe potuto vendicare. Secondo l’avvocato e secondo me, quella strage era legata al sequestro di Giovanni Murgia. Altrimenti non mi spiego come mai Giuseppe Boi, condannato per essere uno degli organizzatori di quel rapimento, dopo abbia occupato l’ovile dove erano stati compiuti i delitti”.
Spende parole bellissime e di ringraziamento, Zuncheddu, nei confronti del suo avvocato Marco Trogu, dei suoi parenti, della garante per i detenuti Irene Testa e verso tutti quelli che, seppur nelle difficoltà legate alla sua carcerazione, gli sono state vicino.
Tra i progetti che vorrebbe realizzare con una parte dei soldi del risarcimento, c’è quello “di aprire un caseificio, vorrei poter dare lavoro a dei ragazzi. Prima però devo pagare l’avvocato e i consulenti”. E, sempre nell’intervista al Corriere della Sera, rimarca: “Qualsiasi cifra non sarà mai abbastanza, ho vissuto più tempo dentro il carcere che fuori”.