Conclusa l’indagine sul cartello a Chia contro i crimini di guerra
Conclusa l’indagine sul cartello contro i crimini di guerra a Chia. Lāindagine nata dallāaffissione di un manifesto sopra un cartello allāingresso di una spiaggia sarda ha assunto contorni clamorosi. Nei giorni scorsi la polizia aveva ipotizzato i reati di propaganda e istigazione a delinquere secondo lāarticolo 604 bis del codice penale, oltre alla violazione della normativa paesaggistica e ambientale prevista dallāarticolo 181 del decreto legislativo 42/2024. Il Pubblico ministero ha invece demolito le accuse e ha emesso un decreto di non convalida del sequestro, escludendo qualsiasi ipotesi di reato.
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Il manifesto riportava la frase: āI criminali di guerra non sono i benvenuti in Sardegna, e sono perseguibili dalla leggeā. Secondo la procura, questa scritta non integra gli estremi della propaganda discriminatoria. Il PM ha chiarito che lāarticolo 604 bis punisce soltanto condotte mirate a influire concretamente sulla psicologia altrui e a spingere terzi a compiere atti delittuosi a carattere discriminatorio. Nel caso specifico, il cartello rappresentava una presa di posizione politica su temi internazionali, collegati al conflitto tra Israele e Palestina, senza alcuna istigazione allāodio nei confronti dei cittadini israeliani.
Il magistrato ha sottolineato che la condotta rientra nel diritto di espressione garantito dalla Costituzione, indipendentemente dal fatto che il contenuto risulti condivisibile o meno. Il messaggio richiamava la possibilitĆ di perseguire crimini di guerra a livello internazionale, non un invito alla discriminazione.
Sul fronte ambientale, la procura ha liquidato le contestazioni in poche righe: lāaffissione non ha comportato lavori o interventi su area vincolata, ma solo la collocazione temporanea di un manifesto su un cartello giĆ esistente.
L'associazione Libertade
Il provvedimento del PM riaccende il dibattito sullāuso del diritto penale per affrontare manifestazioni politiche e forme di dissenso. Lāassociazione Libertade, che ha diffuso il comunicato, denuncia la pratica di utilizzare in modo forzato il codice penale per limitare la libertĆ di pensiero e di azione politica, accusando le forze dellāordine di alimentare una strategia volta a intimidire il dissenso e a coprire le responsabilitĆ di Israele nei confronti del popolo palestinese.
Lāepisodio, conclusosi con lāarchiviazione, rilancia un tema sensibile: il confine tra sicurezza, legalitĆ e diritti fondamentali di espressione.