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Food sardo, allarme delle imprese isolane: “I dazi di Trump ci colpiranno duro”

La guerra commerciale avviata dalla Casa Bianca, infatti, mette a rischio quasi esclusivamente l’agroalimentare dell’Isola. Le aziende si organizzano e cercano di puntare su nuovi mercati dei paesi arabi e dell’estremo Oriente
La Redazione
Former President Donald Trump, right, sits in the courtroom before the start of his civil business fraud trial, Wednesday, Oct. 4, 2023, at New York Supreme Court in New York. (AP Photo/Mary Altaffer, POOL)

In uno scenario internazionale segnato da crescenti tensioni geopolitiche, i dati provvisori sull’export della Sardegna nel 2024 mostrano a prima vista una sostanziale stagnazione. Secondo le più recenti rilevazioni Istat, alla fine dell’anno il valore complessivo delle esportazioni è cresciuto appena dello 0,8%, passando da 6,69 a 6,74 miliardi di euro: un incremento modesto di 52 milioni. Tuttavia, questo risultato complessivo è fortemente influenzato dal brusco rallentamento registrato nell’ultimo trimestre: tra ottobre e dicembre, rispetto allo stesso periodo del 2023, le esportazioni sono crollate del -22,8%, cancellando di fatto i progressi dei primi nove mesi dell’anno. Se però si esclude il settore dei prodotti petroliferi raffinati – che da solo rappresenta oltre l’80% dell’export isolano – il quadro cambia radicalmente: le vendite all’estero delle altre produzioni sono cresciute di oltre il 25%, pari a circa 296 milioni di euro in più rispetto al 2023; un risultato trainato soprattutto dal comparto manifatturiero, che ha segnato un +34,4% al netto del petrolifero.
    È quanto si evince da un dossier del Centro Studi della Cna Sardegna che lancia un nuovo allarme per le esportazioni agroalimentari sarde, messe a rischio dalla guerra tariffaria annunciata dal presidente Usa Donald Trump.
    Nel 2024 il mercato Usa ha infatti assorbito oltre il 51% delle vendite di prodotti agroalimentari sardi e la ancora scarsa diversificazione dei mercati di sbocco potrebbe penalizzare non poco le imprese sarde. La guerra commerciale avviata da Trump, infatti, mette a rischio quasi esclusivamente l’agroalimentare sardo, che rappresenta il 18% del nostro export senza i petroliferi,(273 mln) e per oltre il 72% per i prodotti caseari. Gli Stati Uniti rappresentano infatti meno dell’1% delle vendite dei prodotti in metallo, primo segmento economico per rilevanza, che vale il 25% dell’export sardo senza i petroliferi (377 mln), e appena il 2% dei prodotti chimici, terzo comparto per importanza ,258 mln al netto dei petroliferi.
    La ricerca individua a questo proposito un gruppo di mercati maturi con domanda crescente e quote significative di vendite per parmigiano e grana-padano che potrebbe interessare i produttori sardi (Spagna, Canada, Paesi Bassi, Belgio, Austria, Svezia e Australia) e un gruppo di mercati emergenti in forte crescita (Polonia, Corea del Sud, Emirati Arabi, Romania, Irlanda, Messico, Portogallo e Arabia Saudita).
    “Una necessaria strategia di diversificazione, per essere vincente, dovrebbe passare da un mix di attività di promozione e valorizzazione che coinvolgano sia paesi emergenti, sia paesi più maturi” – commentano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -. L’obiettivo è quello di arrivare, nel medio-breve termine, a una diversificazione che replichi il modello di vendite di altri formaggi stagionati di grande successo, come il parmigiano o la grana padano, in modo da ridurre l’esposizione verso i rischi, attesi crescenti, dovuti all’incertezza geopolitica internazionale”.

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