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Il team dell'Università di Cagliari Il team dell'Università di Cagliari

Cura del Parkinson, nuova speranza da Cagliari: in campo team internazionale di esperti

L’obbiettivo: rallentare la progressione della malattia sfruttando una specifica famiglia di proteine, le cromogranine
Paolo Rapeanu

Un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’Università di Cagliari apre una nuova strada nella cura del Parkinson. L’obbiettivo: rallentare la progressione della malattia sfruttando le potenzialità neuroprotettive di una specifica famiglia di proteine.

Si tratta delle cromogranine, già note per il loro ruolo nella regolazione delle risposte cellulari allo stress.

Cagliari, nuova cura del Parkinson

A guidare il progetto è Cristina Cocco, docente di Anatomia umana presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, dipartimento di Scienze biomediche dell’ateneo cagliaritano. Con lei, un team composto da Antonio Manai, Barbara Noli, Aqsa Anjum e Maria Antonietta Casu. La ricerca è frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge anche l’Università Masaryk della Repubblica Ceca e la Vasyl Stefanyk Precarpathian National University dell’Ucraina. Il progetto è finanziato attraverso il bando EDUC-WIDE SEED PROJECT e durerà 18 mesi.

Il Parkinson è una delle malattie neurodegenerative più diffuse e invalidanti al mondo, e oggi non esiste ancora una terapia in grado di arrestarne il decorso.

La patologia colpisce principalmente i neuroni dopaminergici della sostanza nera del cervello e si aggrava con la formazione di accumuli tossici di alfa-sinucleina, una proteina che si ripiega in modo anomalo, danneggiando progressivamente le cellule nervose.

La ricerca dell’Università di Cagliari si muove su tre fronti. «Nel nostro laboratorio – spiega Cristina Cocco – testeremo in vitro le cromogranine su cellule staminali umane e murine, esposte al rotenone, una sostanza tossica che simula il Parkinson. Verificheremo se queste proteine riescono a proteggere i neuroni dai danni».

In Repubblica Ceca, invece, si condurranno studi in vivo su topi, per valutare gli effetti della somministrazione intranasale di rotenone e il possibile effetto protettivo delle cromogranine nelle prime fasi della malattia.

Il terzo asse della ricerca, in Ucraina, si concentra sull’alfa-sinucleina e sul suo comportamento in presenza delle cromogranine, per capire se possano impedire formazione di aggregati tossici.

Se i risultati saranno positivi, lo studio potrebbe rappresentare un passo decisivo verso nuove strategie terapeutiche in grado di intervenire nelle fasi precoci della malattia, prima che i danni neuronali diventino irreversibili. Una speranza che parte da Cagliari, ma che guarda lontano, con il sostegno della scienza e della collaborazione internazionale.

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