Sono state vacanze molto lunghe, quelle di Bruno Barbieri in Sardegna. Lo chef bolognese, star di MasterChef, è rimasto per gran parte del mesi di agosto in varie località isolane.
E ha deciso di scrivere un lungo articolo-ricordo sul suo sito internet ufficiale, una sorta di “diario delle ferie” dal titolo inequivocabile: “La mia Sardegna”.
Una regione dove racconta di essersi sentito sempre a casa, Bruno Barbieri, l’ospitale e quasi sempre sferzata dal vento Sardegna.
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Bruno Barbieri: “La mia Sardegna”
Appena ho messo piede in Sardegna del Sud sono stato letteralmente travolto da un’onda. Non del bellissimo mare che c’è da queste parti, però, come mi aspettavo: è stata un’onda di benvenuto!”.
“Non un semplice ‘ben tornato’, ma un caloroso, continuo ‘sei tra noi’, un abbraccio ideale che sembrava fluire da ogni messaggio, da ogni sguardo, da ogni cuore sardo che mi ha riconosciuto come un amico. Un’accoglienza così intensa che l’ho sentita come una specie di rito collettivo”.
“Sono arrivato con la mia ‘squadra’: Juan, la mia leggendaria guida colombiana (questa volta ho ricambiato il favore, facendogli io da cicerone in Sardegna!), Louis, Nicola e Romina”.
“Insieme abbiamo affittato una casa vicino Villasimius, un angolo di paradiso che si distende tra mare, macchia mediterranea e cieli così vasti da sembrar sospesi”.
“Ogni mattina mi trasformavo nel loro barista personale: uova, ma ognuno (ovviamente!) le voleva a modo suo. Mi hanno fatto lavorare anche in vacanza!”.
“E poi ci sono state mattine davvero memorabili: colazione direttamente al lido, oppure la super colazione cagliaritana alla pasticceria Ditrizio, un vero santuario della dolcezza dove brioches e maritozzi ti fanno dimenticare il tempo. Parola di Bruno Barbieri!”.
Avventure sopra e sotto l’acqua
“La vera avventura, però, è iniziata sull’acqua. In gommone con Giuseppe di Nirvana Escursioni ci siamo tuffati a Cala Regina e Solanas, nuotando tra banchi di pesci e acque trasparenti come cristallo”.
“”Immersioni che ti fanno davvero entrare in contatto con l’essenza del mare. Sempre sotto la sua guida, siamo scesi fino a circa 7 metri per ammirare il Cristo sommerso di Torre delle Stelle, opera di Franco Congiu”.
“Poteva mancare un tocco surreale in questo viaggio? Ovviamente no…e infatti, una sera abbiamo bucato in mezzo a una strada dimenticata tra le montagne! Ma ogni imprevisto ha un senso qui”. Siamo stati ricompensati con una cena epica a casa di Michele: pastore da 15 anni, alleva un gregge di 100 capre (e sì, le ha chiamate tutte per nome!) e produce formaggi. Là, sotto un cielo punteggiato di stelle, ci ha fatto trovare uno spiedo con capretto e il sacro “maialetto”: morbido dentro, croccante fuori, profumato con rametti di mirto — in Sardegna usato come il prezzemolo nel resto d’Italia. Michele mi ha mostrato il suo trucco per capire quando il maialetto è perfetto: due dita picchiettano la cotenna, e se quella fa il “suono del vuoto”, allora è prontissimo.
Oltre al maialetto, ho mangiato cinghiale in umido, ravvivato da un rametto di (l’avreste mai detto?) mirto, e culurgiones, quelli campidanesi, ripieni di ricotta di capra, con sugo rosso di pomodoro, un ciuffo di menta fresca e pecorino grattugiato: un’esplosione di identità.
La sera dopo siamo stati a Muravera, per assistere alla magia rituale dei Boes e Merdules di Ottana e dei Mamuthones (e Issohadores) di Mamoiada: maschere archetipiche che incarnano antichi riti, in cui il legno, la pelle e i campanacci raccontano la storia della lotta tra istinto e ragione, tra uomo e natura selvaggia — e quel ritmo ancestrale ti entra fin nelle ossa.
Poi, per due mattine consecutive all’alba, sono stato a pesca con Giuseppe e i pescatori Andrea e Mirko: la prima battuta è stata un po’ scarsa: un dentice timido, la seconda una scorpacciata di scorfani (i famosi “capponi di mare”).
La sera, a casa, mi sono rimesso ai fornelli per preparare…una zuppa di scorfano fumante!
Ma parliamo del “su coccoi”, vi devo raccontare dei “capricci” della Panetteria Marini a Selargius: croccanti, fragranti, pieni di storie. Mi sono arrivati messaggi da persone che mi hanno raccontato i loro modi preferiti per gustarlo: chi lo inzuppa nel caffèlatte, chi ci strofina sopra il pomodoro, chi giura che resta buono anche dopo giorni. Tante di queste storie mi hanno catapultato nei ricordi della vostra infanzia: una pezzo di pane che è anche un viaggio nel tempo.
Una delle ultime sere ci siamo seduti all’agriturismo Sa Marighedda, immersi nella luce calda delle candele, di fronte a piatti semplici che parlano di terra e radici, in un ambiente famigliare che coccola l’anima. Grazie Lorenzo per il consiglio!
Insomma, sono stato accolto come uno di famiglia, anche se io ho sbagliato varie volte la pronuncia di località e cibi: ho imparato che i sardi sono adorabili ma pignoli sugli accenti, non hanno perso occasione per correggermi con bonaria ironia. Ci abbiamo riso su mille volte: anche questo è parte dell’accoglienza
In tanti mi hanno scritto ringraziandomi per aver fatto “pubblicità” alla Sardegna autentica. Ragazzi, grazie, ma non si tratta di pubblicizzare un luogo splendido, ho semplicemente condiviso con voi una delle cose che amo fare: scoprire fino in fondo i luoghi che ho la fortuna di visitare. Avvicinarsi alle radici, arrivare a conoscere le persone, ascoltare le storie, condividere tavole, passioni e tradizioni: è questa l’essenza di ogni mio viaggio.
Ho cercato di raccontare la Sardegna così com’è, quella vera, quella che si conquista abbracciando la sua terra, ascoltando chi la vive e ridendo insieme alla sua, splendida, gente.