Sopravvissuto al disastro di Caselle: la storia mai raccontata del cagliaritano Piero Cotza
Sopravvissuto al disastro di Caselle: la storia mai raccontata del cagliaritano Piero Cotza. Era il primo giorno del 1974 quando un giovane di Cagliari, Piero Cotza, salì a bordo di un aereo diretto verso Torino. Aveva 19 anni, studiava di giorno e lavorava in un bar la sera. Quella che doveva essere la fine di una vacanza in famiglia si trasformò in un dramma che segnò la sua esistenza per sempre. Ha taciuto per 50 anni: oggi il racconto della sua drammatica esperienza sul quotidiano torinese La Stampa.
Il volo era partito dall’aeroporto di Elmas, con un Fokker F28 della compagnia Itavia. Dopo uno scalo a Bologna, il velivolo era atteso a Caselle, l’aeroporto di Torino, dove la famiglia Cotza viveva da anni. A bordo, insieme a Piero, c’erano suo padre, sua madre, due sorelle e un fratello.
Torino, quel giorno, era avvolta da una fitta nebbia. L’aereo, in fase di atterraggio, perse la corretta traiettoria e impattò violentemente contro un capannone in costruzione prima di schiantarsi a terra. Piero ricorda il frastuono, la violenza dello schianto, le urla, il fuoco, il carburante, l’odore acre della carne bruciata. Rimase ustionato in modo gravissimo e perse la mano sinistra. Ma si salvò.
I soccorritori lo trovarono fuori dalla carlinga, in stato di shock, con i vestiti in fiamme. A salvarlo furono due uomini che lo avvolsero nel fango per spegnere le fiamme. Venne trasferito d’urgenza al Centro Grandi Ustionati del CTO di Torino. Rimase ricoverato per sei mesi, subì numerosi interventi chirurgici e vide la sua vita cambiare radicalmente. Mentre lui e sua madre sopravvivevano – lei con l’amputazione parziale di un piede – suo padre, il fratello e le due sorelle persero la vita insieme ad altri 32 passeggeri. I superstiti furono solo quattro.
L’incidente fu attribuito a un errore umano e a condizioni di visibilità estremamente critiche. Nessun guasto tecnico, nessun sabotaggio. Ma negli anni successivi, con la tragedia di Ustica del 1980 e gli aerei Itavia ormai chiamati “bare volanti” , la compagnia chiuse per sempre.
Piero Cotza, originario del quartiere Stampace di Cagliari, dopo l’incidente lasciò Torino con la madre e tornò nella sua città. “Troppi ricordi, troppo dolore”, racconta oggi. Lavorò prima per Itavia, poi per Alisarda. Si sposò, ebbe tre figli, poi tre nipoti. Nel 2014 decise di vivere su una barca a vela ormeggiata a Cagliari, dove trovò una forma di pace. Dopo il Covid, ha venduto l’imbarcazione e oggi vive in una casa sul mare, circondato dalla natura.
Non ha mai cercato la ribalta né partecipato a commemorazioni. Per cinquant’anni ha preferito il silenzio. “Raccontare quei momenti è ancora doloroso”, dice.