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A Uta il carcere “scoppia” tra pestaggi e centinaia di detenuti in più: “Tutti stretti nelle celle”

Letti a castello ma poco pavimento a disposizione, anche per sgranchirsi le gambe vanno fatti i turni nel più grosso carcere sardo, strapieno oltre ogni limite. E, tra reclusi italiani e stranieri, non va meglio nemmemo negli alti penitenziari isolani
La Redazione

Allarme sovraffollamento al carcere di Uta e in altre case circondariali d’Italia: un aumento del numero dei detenuti arrivato al 30% in questo inizio 2025. Ad affermarlo è la presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme Odv, Maria Grazia Caligaris.

Numeri “extralarge” in questo inizio di nuovo anno. “I dati diffusi dall’Ufficio Statistica del Ministero della Giustizia parlano chiaro – spiega Caligaris -. Il 31 dicembre 2023 erano recluse 601 persone per 561 posti. Un anno dopo sono diventate 768, senza che sia aumentato corrispettivamente il numero degli operatori penitenziaria con o senza divisa. La situazione è molto critica anche a Sassari-Bancali, dove, nella stessa data nel ’23, erano presenti 472 detenuti per 454 posti. Otto giorni fa invece nell’Istituto “G. Bacchiddu” sono risultati presenti 536 ristretti”.

Solamente in due istituti sardi “è recluso il 56,9% dei detenuti dell’isola il cui numero ammonta a 2.289 (49 donne)”, spiega Caligaris. Che aggiunge: “Nella valutazione della gravità della situazione occorre tenere presente anche la notevole crescita di stranieri, prevalentemente extracomunitari. A Cagliari-Uta sono 187 (erano 112 un anno fa) e a Sassari-Bancali 176 (prima 132). Complessivamente in Sardegna sono 585, il 25,5% dell’insieme delle persone private della libertà. Una così massiccia presenza di stranieri nelle case circondariali, dove il sovraffollamento ha portato a 4 e addirittura a 5 persone in una cella destinata a due detenuti, con letti a castello e l’impossibilità di stare tutti in piedi contemporaneamente, favorisce momenti di insofferenza reciproca e difficoltà nella convivenza. Gli stranieri, che provengono in genere da altre regioni, spesso non conoscono l’italiano e usano dialetti locali incomprensibili anche per i mediatori culturali, determinando loro malgrado situazioni di difficile gestione”.

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